Tre persone che, dopo aver rivelato segreti scottanti, vivono esperienze diverse di prigionia, ma che, in sostanza, sono accomunate dallo stesso probabile destino: anche se un giorno dovessero riguadagnare tutte la libertà, saranno costrette a non dormire sonni tranquilli per il resto della loro vita, tanto era proibito andare oltre quelle soglie che hanno osato varcare. Stiamo parlando di Chelsea Manning (militare condannato a 35 anni di carcere), Julian Assange (giornalista e co-fondatore di Wikileaks, asserragliato nell’ambasciata ecuadoriana di Londra) e Edward Snowden (informatico autoesiliatosi in Russia), le coraggiose e ormai famose “gole profonde” che hanno spifferato al mondo intero le verità scomode che governo, intelligence e diplomazia USA desideravano, ovvio, custodire più che gelosamente (retroscena su guerre in Iraq e Afghanistan e su Guantanamo, affari politici internazionali, dossier dell’agenzia di sicurezza americana).
Se, però, i tre eroi della trasparenza hanno sacrificato la loro esistenza di individui liberi in nome di una informazione senza vincoli, il loro pensiero, la logica che li ha animati nel divulgare notizie che altrimenti giacerebbero sotto la sabbia del potere, non conosce celle o, comunque, spazi circoscritti e può sorvolare il mare formato dalle nostre coscienze: è proprio questo il messaggio che l’artista italiano Davide Dormino e il giornalista inglese Charles Glass hanno voluto sintetizzare in un progetto itinerante, patrocinato da “Reporters sans frontières” e denominato “Anything to say?”. Si tratta, in sostanza, di un’installazione in cui tre statue in bronzo, raffiguranti Manning, Assange e Snowden in posizione eretta, sono poste su tre sedie; a completare l’opera vi è una quarta sedia, libera perché destinata idealmente a chi volesse immedesimarsi in coloro che hanno avuto l’ardire di abbandonare il comfort del quieto vivere ed “elevarsi” per riuscire a diffondere la loro denuncia, ma anche per guardare oltre il confine dei limiti imposti dal più forte.
“Anything to say?” comincerà il tour mondiale il 1° Maggio prossimo dalla Alexanderplatz di Berlino. La capitale tedesca non è stata una scelta casuale, non tanto per la capacità di respirare più di altri posti il fermento artistico delle avanguardie, quanto per la prerogativa di costituire attualmente la base operativa più rappresentativa di quel giornalismo che combatte omertà e reticenze di amministrazioni e autorità varie: infatti, vi risiedono, tra le altre, figure come Sarah Harrison (componente dello staff di WikiLeaks, che ha aiutato Snowden a lasciare Hong Kong e che per tale motivo deve tenersi alla larga dall’Inghilterra, suo paese natale), Laura Poitras (cronista e documentarista, premio Pulitzer e Oscar, che da Snowden ha raccolto le “confidenze” su NSA) e Jacob Applebaum (l’esperto di comunicazioni riservate che ha aiutato la Poitras a decodificare i files ricevuti da Snowden).
Dopo Berlino, “Anything to say” raggiungerà Dresda e quindi la Svizzera, per poi spostarsi ovunque si vorrà riflettere sulla possibilità di acquisire informazioni senza dover incorrere nei veti voluti da questo o quell’altro organismo, per una democrazia più aperta e meno punitiva, oltre che meno coercitiva; in particolare, per non consentire che persone come Manning, Assange e Snowden debbano rischiare la persecuzione, dopo aver rinunciato a stare comodamente seduti, pur di vedere le notizie circolare libere.