Creare una specifica identità arricchisce l’azienda. Fare brand building è la prima e imprescindibile attività da mettere in campo, prima ancora di iniziare qualsiasi attività di comunicazione e/o di marketing. Perché è tanto importante? Perché avere una propria identità significa essere riconoscibili ed essere riconoscibili significa avere un vantaggio sui propri competitor.
Significa anche avere “controllo” sulla propria immagine aziendale. Se viene tralasciata – o non definita correttamente – potrebbe capitare che i consumatori si formino un’opinione diversa rispetto a quella che il brand pensa di comunicare. E questo è un’impasse dal quale è molto complicato uscire…
Fare brand building è un lavoro molto complesso, frutto di analisi “esterne” e “interne”, di competenze strategiche e creative. In questo articolo abbiamo analizzato i principali passaggi.
Analisi esterna: settore, competitor e buyer persona
Come creare un’identità forte, radicata, ben organizzata?
Il primo passo è un’analisi “esterna”: esaminare il settore di riferimento e i competitor. Capire, quindi, come si muove e di che cosa si alimenta l’ecosistema in cui vogliamo inserirci:
È un mercato in espansione? Esiste un bisogno o una necessità che i competitor non stanno tenendo in considerazione? Come/cosa/dove comunicano i competitor? Come avviene il processo di acquisto di quel determinato prodotto/servizio?
Altro tassello è la definizione della buyer persona, l’archetipo del cliente ideale al quale vogliamo rivolgerci. Non è una mera classificazione, ad esempio, dei dati anagrafici, demografici o geografici. È un’espressione più profonda che prende in considerazione anche i dati comportamentali-emozionali-motivazionali-psicografici. Grazie alle buyer personas si scopre tutto ciò che gravita attorno alla decisione di acquisto.
Alcune domande da porsi:
In quale settore opera la mia buyer persona? Quale ruolo ricopre? Qual è il suo reddito? Qual è la sua giornata tipo? Trascorre più tempo a casa o al lavoro? Quali programmi tv guarda? Usa i social? Usa internet per cercare prodotti e servizi? Quali sono le sue paure?
La lista delle domande potrebbe andare avanti…Come abbiamo anticipato è un lavoro complesso e complicato, ma necessario perché solo avendo una panoramica chiara del “mondo esterno” ci si potrà inserire in modo adeguato.
Definire la propria identità aziendale. Vision & Mission
Definito l’esterno, passiamo all’autoanalisi, la parte più delicata. In questa fase si pongono le basi per quella che sarà l’identità aziendale. Indagare – da una parte – i plus del proprio brand e, dell’altra, il rapporto che ne scaturirà con il cliente.
Quali sono i punti di forza del brand? Quali sono gli obiettivi a lungo termine dell’azienda? Quali sono i valori che differenziano il brand e i suoi prodotti/servizi? Che cosa deve suscitare il brand? Qual è la prima cosa a cui il pubblico deve pensare quando si tratta del brand? Come verrà usato il prodotto/servizio dal cliente? Quali sono i touchpoint tra brand e cliente? Cosa dovrebbe provare/aspettarsi il cliente dopo l’uso?
Domande come queste che aiutano a sviluppare l’essenza del brand, quella che viene definita Unique Selling Proposition, ovvero la proposta unica di vendita, la “motivazione” che rende eccezionale, unico, diverso e insostituibile il brand o il prodotto.
Dalla USP deriveranno poi vision e mission. Con vision si intendono gli obiettivi a lungo termine, che cosa si vuole diventare, la ragione d’essere del brand. La mission, invece, definisce che cosa fa il brand e perché.
Naming & logo
Definita “l’anima” del progetto passiamo ora alla definizione del naming. È il primo elemento con il quale comunichiamo chi siamo, è la nostra carta di identità. Per questo dovrà essere semplice e unico, orecchiabile, facilmente ricordabile e, allo stesso tempo, in linea con vision e mission. L’obiettivo, difficilissimo, è condensare al meglio in poche lettere l’idea fondante dell’azienda.
Associato al naming si apre il discorso del logo, altro elemento da cui passa la riconoscibilità del brand. Qui valgono le stesse regole per il naming: facile, originale, riconoscibile, versatile (che sappia adattarsi sui social, così come sui biglietti da visita) e coerente con tutto il messaggio aziendale…
Certi brand sono in grado, poi, di dare vita a quello che viene definito visual hammer (letteralmente “martello visivo”). Il termine, coniato da Laura Ries, indica un elemento grafico talmente distintivo che è capace di fissare nella mente un concetto. A volte può essere sovrapposto al logo, mentre altre volte le due cose non coincidono. È quello che succede, ad esempio, quando vediamo la silhouette di una bottiglietta e pensiamo a Coca Cola, oppure quando colleghiamo immediatamente lo Swoosh alla Nike.
Marketing mix
Una volta confezionato “il vestito” del brand si sarà pronti per definire quali strumenti/canali utilizzare per comunicare. Ogni segmento-cliente innescherà un piano di comunicazione e di marketing differente.
Ad esempio si dovrà ragionare se e quali social usare: TikTok per i giovanissimi, Instagram per un target “middle”, Facebook per un pubblico adulto, Linkedin se ci si rivolge al mercato B2B. E ancora valutare se fare campagne di affissioni o sui quotidiani, se fare Google Ads, se creare una sezione blog su sito, se utilizzare le newsletter…le attività che si potrebbero fare sono tante, vanno valutate attentamente in base alle analisi esterne/interne.
Ascoltare e consolidare
Abbiamo finito? Non proprio. Dopo aver impostato tutto inizia la fase di “audit”, capire come viene effettivamente percepito il brand all’esterno, la cosiddetta valutazione della brand reputation. Eh già perché potremmo accorgerci di alcuni errori di posizionamento: ad esempio il consumatore potrebbe avere un’idea confusa e vaga del brand, oppure potrebbe essersi fatto un’idea errata.
Anche nel caso in cui non ci fossero errori di posizionamento il lavoro non finisce qui, inizia la fase del consolidamento e della fidelizzazione. Il pubblico va continuamente “alimentato” con nuovi contenuti, va “coccolato” e reso speciale, va fidelizzato per creare una relazione davvero di valore con il brand.
Fare brand building: difficile, ma necessario
Come abbiamo detto, fare brand building è un processo articolato che deve tenere conto di molti fattori. Difficile sì, ma essenziale perché fare un buon lavoro in questo senso vuol dire dare una base solida al proprio business.