C’è un pittore che ha cominciato con i muri e soprattutto sui muri ha saputo trovare quella strabiliante e assolutamente inedita mescolanza di geometrie, colori e dimensioni, che poi è diventata il suo originale marchio di fabbrica: si tratta del brasiliano Eduardo Kobra.
Classe 1976, oggi punta di diamante della cosiddetta Neoavanguardia di San Paolo, Kobra, dopo essersi aggregato a una crew di writers, a soli dodici anni comincia a spargere tracce del suo precoce talento per le strade della sconfinata città natale; e quando negli anni Novanta fonda uno studio per sviluppare meglio le sue geniali intuizioni creative, dai semplici graffiti è già approdato alla street art “importante”, con uno stile che ben presto lo proietta nell’olimpo di quel genere.
Analizzando nei dettagli l’ormai copiosa produzione artistica di Kobra, vengono alla luce quegli elementi che, convergendo nell’esito definitivo di ogni opera, lo hanno consacrato streeter di fama mondiale, tra i più amati e seguiti in assoluto: innanzitutto, ci troviamo di fronte a murales realizzati attraverso strumenti vari quali aerografo, spray e pennelli, tanto eterogenei, quanto ugualmente utili alla causa di una straordinaria singolarità figurativa; e poi, come vedremo: la scala; il tratto; le invenzioni cromatiche; l’incrocio che ne deriva e dà vita a risultati folgoranti, sempre più universalmente apprezzati; i temi affrontati, che vanno a stampare spunti di riflessione sulle nostre coscienze; gli obiettivi che si aggiornano, ma che, d’altro canto, restano fedeli a una linea ben precisa, per un poeta visual felicemente sospeso tra arte e impegno civile.
Nei suoi lavori, per la maggior parte “affreschi” giganteschi che, in diverse metropoli del pianeta, campeggiano, a volte, anche su intere facciate di edifici, Kobra espugna la superficie prescelta con un disegno dai contorni così nitidi da evidenziare un “fotorealismo” disarmante; quindi, di solito, ricopre l’impostazione iniziale con segmenti che s’irradiano dal centro verso l’esterno oppure s’intersecano fra loro, cosicché, quando finalmente riversa su quello schema la sua sterminata collezione di tinte, dai soggetti raffigurati si sprigionano arcobaleni e caleidoscopi travolgenti. L’ammiratore di turno, tuttavia, una volta catturato dall’irresistibile irruenza dell’effetto “arlecchino”, si ritrova assorbito da un vortice di stupefacente tridimensionalità che, insieme alla fiera di sfumature variopinte, fa del pittore verdeoro un autentico giostraio della street art.
La rete tesa con l’ostentazione vivace e suggestiva, poi il turbine delle fughe prospettiche: sono i tramiti espressivi attraverso i quali Kobra ci restituisce i volti degli eroi delle generazioni passate o scene che le città hanno “archiviato” tra le loro vie in anni lontani, gli inconfondibili volumi di monumenti famosi o scatti che hanno fatto epoca, un patrimonio che, rivestito di abiti sfavillanti, non può non vincere la battaglia contro il tempo; ma oltre che per l’operazione “nostalgia”, messa in campo con le “monografie” e i “Walls of memories“, la “trasfigurazione” delle immagini riprodotte ha funzionato anche per la denuncia contro le torture che Terra e Umanità subiscono, vale a dire guerre, inquinamento, deforestazione e riscaldamento globale.
Tra America ed Europa, tra street art e fervore sociale, Eduardo Kobra ha disseminato, lungo il suo brillante percorso, segni di una sfida epica e sensazionale a colpi di design, sperimentazione e realismo. Per la gioia dei nostri sguardi irrimediabilmente inebriati.