Rituffiamoci nel corporate storytelling, cioè nel racconto applicato al mondo delle imprese e cerchiamo questa volta di inquadrare quelle che ne costituiscono le evoluzioni, cioè le declinazioni del “marketing narrativo” che si sono alimentate al tavolo della rivoluzione digitale in era 2.0. Così facendo, speriamo soprattutto di poter trarre migliori conclusioni su questo importante capitolo che si è aperto nella comunicazione aziendale, negli ultimi anni.
Le nuove tendenze su cui vogliamo focalizzare la nostra attenzione si fregiano delle seguenti attribuzioni: transmedia e visual.
Il transmedia storytelling, come una fonte che si ramifica in molteplici rivoli, affida il nucleo della narrazione alle differenti piattaforme comunicative che il panorama attuale può offrire, andando ad “irrigare” le utenze più disparate e ricavandone non solo visioni diverse con conseguenti variegati sviluppi, ma mettendo a frutto anche la collaborazione (volontaria e non) del lettore/spettatore nella costruzione della storia. E se è vero che il fruitore può essere tanto il consumatore quanto il dipendente di quell’azienda che si mette in gioco nel labirinto di specchi che ne restituiscono l’immagine più abbagliante possibile, quale sarà il risultato agognato di cotanta semina? Sicuramente ottenere un ritorno economico in senso lato, ma ancor più, secondo una prospettiva più vicina allo sguardo nobile di uno scrittore, instillare il senso di appartenenza alla filosofia che ha guidato l’impresa stessa dalle origini all’attualità.
Il racconto aziendale transmediale ha trovato terreno fertile nei vari campi mediatici che si sono aperti e sviluppati in particolare nell’ultimo decennio, quali blog, social networks, applicazioni mobili e videogames. Ovviamente, le imprese ricavano enormi benefici nel “raccontarsi” attraverso le citate piattaforme anche perché queste ultime, costituendo patrimonio condivisibile come canali informativi, favoriscono l’abbattimento dei costi relativi alla comunicazione.
Ancora più peculiare in quanto a contenuti e impatto è l’altra nuova porta che si è spalancata per le aziende che scelgono di diventare protagoniste di un vero e proprio racconto: parliamo di visual storytelling, cioè della possibilità di sintetizzare il proprio percorso imprenditoriale attraverso le immagini. Volendo essere più specifici, nel caso in questione si può partire dal concetto di “key frame”, l’immagine chiave, attorno alla quale poi elaborare una storia col cosiddetto “third effect”, cioè con la sequenza di fotogrammi che si susseguono in base a una logica narrativa. Naturalmente, se esistono sempre più realtà economiche che cercano nella comunicazione visiva un’alternativa alla parola, è anche perché il web, non solo ha donato in genere linfa vitale all’arte grafica, ma ha visto anche crescere il numero di social networks che fanno delle foto la propria specialità. Al di là dei dati che confortano risultati notevoli, non è difficile comprendere come il corporate storytelling abbia guadagnato dalla svolta visual in termini di efficacia e di interazione, moltiplicando quanto di buono si era già procacciato imbarcandosi nell’avventura transmediale.
Alla luce dell’approfondimento che ha svelato quali orizzonti si sono profilati per il racconto aziendale, ci accorgiamo ancor meglio che con esso le imprese, tutto sommato, si trovano di fronte a un’arma a doppio taglio, uno strumento che può diffondere in maniera capillare i valori a cui le stesse si ispirano, ma che le espone contestualmente soprattutto al giudizio immediato delle communities digitali, un territorio che conosce, a torto o a ragione, pochi filtri espressivi.