A Bologna, presso lo Spazio Labò, sarà visibile sino al 31 gennaio 2015 “Il Giardino”, esposizione fotografica realizzata da Alessandro Imbriaco sul disagio abitativo nella grande città di Roma.
Abitare non significa semplicemente poter avere un alloggio, una casa entro cui trovare riparo, ma esprime l’esigenza che ogni persona ha di possedere una dimora. E la dimora non deve essere solo intesa come uno spazio nel quale intrecciare relazioni con una comunità e un territorio, ma anche uno spazio proprio entro cui vivere, realizzarsi e tessere legami profondi ed esclusivi.
Per tali motivi la casa è un diritto inviolabile, poiché in sua assenza la persona non può realizzare se stessa. La mancanza di una casa rappresenta il disagio abitativo per eccellenza, ma anche condizioni di alloggio inadeguate sono fonte di malessere sociale.
Alessandro Imbriaco, ingegnere di formazione, vive e lavora a Roma, dove si è interessato prevalentemente di insediamenti urbani e diversi modi di abitare. Con i suoi lavori ha documentato per anni il disagio abitativo nella capitale, spingendosi ad approfondire la conoscenza della città fin nelle zone più marginali e nascoste all’interno del tessuto urbanizzato, dove sono cresciute, a ridosso della speculazione edilizia, vere e proprie bolle di sopravvivenza umana.
Le fotografie de “Il giardino” raccontano una di queste zone. Si tratta di una palude nei pressi del fiume Aniene, situata sotto il cavalcavia di una tangenziale nella periferia est di Roma, considerata una zona da proteggere per la sua particolare fauna (uccelli e volpi), sebbene tutti i tentativi di tutela ambientale siano stati, con il tempo, abbandonati. Qui è nata e cresciuta Angela, una bambina di sei anni che abita in una baracca nascosta sotto al cavalcavia insieme ai suoi genitori: Piero, emigrato siciliano diventato senzatetto, e Luba, immigrata russa. “Il Giardino” racconta i luoghi e le atmosfere dove Angela vive, quel pezzo di terra nel quale ha trovato un rifugio sicuro.
Nelle immagini fotografiche Angela e i suoi genitori appaiono figure nitide e stralunate, avvolte e strette alla vegetazione come nell’abbraccio soffocante di una madre che ha accolto nuovi figli e li vuole proteggere da un’altra confusione, quella urbana. È un ritorno a una situazione primordiale, a un giardino biblico, dove i primi e unici esseri umani ad abitarlo, da troppo tempo lontani, vi fanno ritorno, trovando un’oasi lussureggiante e buia, in cui il riflesso della luce sulle foglie, a volte, dona una sensazione di magia e incanto.
Un giardino che ha subito il delirio dell’abbandono ma è pronto a riaccogliere i suoi figli.
Un’alternativa di vita quasi inimmaginabile per chi, tutti i giorni, a Roma, passa in automobile sopra quel cavalcavia senza sapere chi abita nei luoghi lì sotto