Nel 2014, Findus ha realizzato una serie di spot commerciali dove i protagonisti, senza essere ripresi integralmente, compivano una serie di azione il cui denominatore comune era pubblicizzare i prodotti dell’omonima azienda, la loro bontà, praticità e facilità nel prepararli. Quando è apparsa per la prima volta la pubblicità di un giovane ragazzo che organizzava un pranzo con la mamma e il proprio coinquilino, si è pensato che l’azienda avesse deciso di lanciare un messaggio forte, definendosi “gay friendly” dopo che Guido Barilla aveva affermato “niente gay nei nostri spot”, scatenando aspre discussioni e dure critiche. Il ragazzo nello spot televisivo infatti, tra un piatto di pasta e un risotto pronto in pochi minuti, confessa alla mamma la sua omosessualità. Questo è apparso subito come un messaggio forte e degno di nota, perché si sdoganava un tema, fino a qualche giorno prima, oggetto di dibattitti e scontri. Contemporaneamente, sono nate molte polemiche perché, sebbene si parli dell’omosessualità di questi due giovani, loro non appaiono mai. Non si vede la loro faccia, ma solo i gesti e le azioni che compiono.
È pur sempre vero che tutta la campagna si struttura su questo principio, ovvero quello di non far vedere i volti dei protagonisti ma solo quello che fanno, per permettere al consumatore di focalizzare la propria attenzione sui prodotti, sulla bontà e sulla facilità nel preparare i piatti Findus. I più malfidenti hanno perfino ipotizzato che questa decisone di non rappresentare i protagonisti nella serie di spot sia stata voluta proprio per poter offrire un’alternativa “gay friendly”, in cui non ci fosse bisogno di mostrare le persone, ma solo di offrire uno spunto di riflessione tra bastoncini e risotti. Sdoganare sì, ma piano perché siamo pur sempre in Italia. Lo stesso Stato in cui questi temi sono affrontati senza esporsi troppo, senza dare risposte forti. Così, non solo Findus si nasconde dietro a persone a metà (perché più delle mani e di mezzo corpo non si vede), attraverso un timido sforzo di far valere i propri ideali come se mancasse un ipotetico body copy che, in opposizione alle parole di Guido Barilla, affermasse: “Noi, al contrario di uno dei colossi più grandi nella produzione di pasta, offriamo un prodotto già pronto e di qualità a chiunque, senza distinzioni”.
Anche Ikea, nel 2011, aveva creato una campagna pubblicitaria ad hoc per la sede di Catania con un headline forte “Siamo aperti a tutte le famiglie”. Bella la scelta, giusta la frase e forte nella sua semplicità. Unico problema? I due giovani, mano nella mano con la tipica busta gialla dell’azienda svedese, sono di spalle. Sono rappresentati integralmente ma nessuna faccia è presente.
Così anche Eataly, sulla scia di Ikea, ha pensato di sostenere quest’idea di apertura a tutte le famiglie con due ragazze mano nella mano ma, ancora una volta, di spalle. Le conclusioni si traggono facilmente: nessuna faccia, nessuna identità. Il mancato coraggio di far vedere queste persone nella loro individualità o nella condivisione di momenti con il partner, si ripete ancora una volta. Non basta offrire un modesto tentativo di emancipazione in un paese come l’Italia dove ancora, in termini di diritti e opportunità, c’è molto da fare. È indiscutibile che Ikea, Eataly e Findus almeno ci abbiano provato, ma con scarsi risultati perché non bastano visi nascosti, voci fuori campo e giovani di spalle. Sicuramente questo rappresenta almeno un punto di partenza in campo pubblicitario e non solo, ma non certo d’arrivo.