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L’altra “rossa” che non tramonta: la Olivetti Valentine

1969: mentre l’elettronica sta conquistando le imprese, il mercato delle macchine da scrivere è sul punto di saturarsi. A quel punto, pare non esserci più spazio per una nuova portatile meccanica, ma ecco che Olivetti tira fuori dal suo cilindro la Valentine per farne un successo, al pari delle ormai mitiche Lettera 22 e Lettera 32. Il tutto grazie a Ettore Sottsass, che (con Leclerc e King) ha saputo donare all’oggetto un design rivoluzionario, e con la comunicazione pubblicitaria ha proposto il neonato apparecchio in modo seducente.
Già, la pubblicità! Per la società di quegli anni siamo a una svolta epocale e allora i creativi chiamati a promuovere la Valentine riescono a inserirla nel panorama di cambiamento radicale dei costumi, costruendo attorno a essa un’aura di trasgressività tanto cara alla contestazione in atto e assicurandosi l’attenzione di target mai raggiunti prima dalle macchine per scrivere.
Si giunse a una rottura totale con gli schemi del passato: pubblicità accattivante per un prodotto, pur nella sua meravigliosa semplicità, del tutto innovativo, dai processi produttivi adottati e dai materiali utilizzati per fabbricarlo fino, come accennavamo, al design, colore (rosso) compreso.
Sottsass personificò il nuovo corso voluto da Olivetti, non solo perché fu il padre della Valentine, ma anche perché a lui fu affidato il coordinamento delle campagne pubblicitarie, col risultato che la macchina si affermò come un oggetto per tutti e ovunque. In questo senso, grafici (lo stesso Sottsass, Ballmer, Glaser, Pieraccini, Isaka, Marchi, Van Der Elst e altri) e (come diremmo oggi) copywriters (il poeta Giudici, dirigente Olivetti, e lo scrittore Fruttero su tutti) lavorarono attorno alla Valentine per consegnarla alle masse e alla storia, tanto che l’apparecchio s’impose più come icona che come prodotto funzionale all’uso, andando addirittura a prevalere sull’immagine globale della Olivetti.
La Valentine non garantì un riscontro commerciale immediato, ma grazie a design e comunicazione si ritagliò un posto di assoluta preminenza nel tempo. Per tutti, certo, ma per sempre: insomma, un oggetto di culto. Infatti, approdò nelle collezioni del MOMA di New York solo due anni dopo il suo lancio. E non è tutto. Riportata alla produzione in Messico negli anni ’90, fu protagonista di una memorabile mostra che l’Archivio Storico Olivetti le dedicò a Ivrea nel 1999: col titolo emblematico “Rosso, rosso Valentine”, l’esposizione fu così apprezzata che venne replicata anche a Milano, Torino, Genova, Praga e Budapest.
”Ho immaginato la Valentine come fosse la biro delle macchine per scrivere… il prodotto pop della Olivetti in contrapposizione alla chic Lettera 22…”. Sottsass.
To be continued…

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