Quali sono le ultime frontiere dei social? Come funzionano e quanto sono utili le più interessanti proposte, spesso applicazioni mobili,per la condivisione dei dati? Le risposte arrivano, esaminando tre servizi internet che negli ultimi tempi hanno preso quota tra gli utenti: parliamo, nello specifico, di Snapchat, Tsu e Periscope.
Nata nel 2011 ad opera degli allora studenti Evan Spiegel e Robert Murphy, Snapchat (in principio Pictaboo) è un’app che permette di pubblicare testi, foto e video, attraverso il proprio profilo, perché vengano visualizzati dagli altri iscritti: sembrerebbe qualcosa di davvero banale, se non fosse che, di base, le informazioni inviate “restano in vita” per un massimo di dieci secondi, prima di autodistruggersi definitivamente.
L’obiettivo era quello di concorrere con Facebook sul versante dello sharing di immagini, ma con la peculiarità di lasciarle passare alla velocità di meteore per salvaguardare la privacy. Strada facendo, la startup californiana, destinata al web mobile, si è arricchita di attraenti novità come Snapcash, opzione con cui si effettuano pagamenti; SnapKidz, versione dedicata ai ragazzi, ma per la sola creazione dei files (che, dunque, per evidenti ragioni di tutela, non hanno accesso alla rete); e, soprattutto, Snapchat Stories, possibilità di conservare il post per 24 ore, praticamente un diario. Quest’ultima opportunità è stata messa a frutto, come strumento di social media marketing, da American Eagle, McDonald, Heineken e Audi, per proporre uno storytelling alternativo o per promuovere eventi sponsorizzati con singolare immediatezza.
Testimoniato da numeri eloquenti, il folgorante successo di Snapchat ha consentito ai suoi fondatori di declinare le offerte faraoniche di Google e, ancor prima, del diretto e insidiato concorrente, cioè lo stesso Facebook.
Passiamo a occuparci dell’innovativo Tsu, social fresco di debutto sulle scene di internet e salutato, però, come controverso, perché impostato sulla redistribuzione dei ricavi tra gli aderenti. Ispirato per l’essenziale funzionamento a Facebook, se ne differenzia per alcuni dettagli fondamentali: in primis, come accennato, gli introiti derivanti dalla pubblicità ricadono sugli utenti secondo una struttura piramidale, regolata a sua volta da algoritmi e innescata dagli “apprezzamenti” dei contenuti pubblicati; inoltre, l’iscrizione è possibile esclusivamente dietro invito di chi è già partecipe del sistema; infine, il post “inedito” resta di proprietà di chi lo ha prodotto, mentre, in generale, al fine di scongiurare alterazioni della logica che presiede la regolare divisione delle entrate e pena sanzioni, è vietato il famigerato spamming.
Il modello “Tsu” dovrebbe, da un lato, incentivare aggiornamenti improntati all’originalità e alla qualità (quindi accattivanti in un contesto dove il consenso fa lievitare i guadagni) e, dall’altro, generare la continua espansione della gerarchia sottostante a ciascun profilo, secondo criteri di selettività. Agli esperti, tuttavia, rimane il dubbio di quanto tale ricetta possa essere sostenibile o anche solo credibile, in un’ottica di agguerrita e ben collaudata concorrenza.
Arrivando a Periscope, diciamo subito che non è un social, ma un’applicazione che, come Merkaat (ma con caratteristiche migliori), sfrutta Twitter (che ne ha acquistato il brevetto) per fornire un canale dove trasmettere in diretta filmati girati con i dispositivi mobili. Saltando gli aspetti meramente tecnici, ci concentriamo sui risvolti che una tale startup può determinare rispetto all’ordinario utilizzo delle piattaforme su cui si innesta: fermo restando che per le due app citate, al di là di enormi potenzialità di marketing, non si intravedono ancora spazi tipici, sorge il problema del controllo sulla liceità di diffondere lo streaming, sulla scorta delle norme che regolano buon costume, privacy e copyright.
Fonti principali
http://www.panorama.it/mytech/social/snapchat-5-cose-da-sapere/
http://www.ilpost.it/2015/04/20/tsu/
http://www.ilpost.it/2015/03/30/periscope/