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La libertà è un CAVALLO AZZURRO: la rivoluzione di Franco Basaglia.

psichiatria legge Basaglia

Un malato di mente entra nel manicomio come una persona per diventare una cosa. Il malato, prima di tutto, è una persona e come tale deve essere considerata e curata (…). Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone.”
“Io ho detto che non so cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. È una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione.”
Abbiamo scelto queste due citazioni del pensiero di Franco Basaglia, per ricordarne la figura, perché focalizzano – crediamo – due nodi essenziali del suo operato. Da un lato c’è il suo vedere la malattia della mente come una condizione prima di tutto umana, difficilmente afferrabile e in fondo appartenente a ciascuno. Dall’altro (e di conseguenza) la sua idea di cura che è tutta incentrata ancora una volta sull’umanità di chi quella cura deve ricevere e di chi la deve “somministrare”.
Da qui discende la straordinaria e sperimentale vicenda che portò a una concreta rivoluzione in materia di psichiatria e salute mentale, con la legge che porta il nome di Basaglia e che abolì il manicomio come struttura detentiva.
Ma quello fu solo l’apice della parabola del lavoro di Basaglia, che dall’ospedale psichiatrico di Gorizia a quello di Trieste mise in atto una modalità di relazione e di cura con i degenti del tutto innovativa. A Trieste, per istituire quella che lui stesso definì “comunità terapeutica” Basaglia chiamò attori, registi, pittori e musicisti a lavorare con i pazienti, per proporre loro, attraverso le arti, un modo di comunicare non convenzionale, che ognuno dei malati avrebbe potuto costruire su se stesso, e da cui nacquero numerose e differenti iniziative, descritte in modo accurato da un bel libro del 1973 di Giuliano Sciaba che, da uomo di teatro, collaborò come parte attiva a quel progetto.
Il libro di Sciaba è intitolato significativamente “Marco Cavallo”, come la grande scultura di cartapesta azzurra che fu costruita durante uno di quei laboratori e che fu simbolicamente fatta uscire aprendo le mura dell’ospedale, divenendo icona di libertà. E questo libro è anche l’occasione per ricordare un altro grande innovatore della cultura italiana, di recente scomparso, Umberto Eco. Nel recensire il libro di Scabia in questo articolo per il “Corriere”, Eco seppe assumere un punto di vista inedito. Per lui l’innovazione di quell’esperienza fu nell’inventare sistemi di comunicazione in cui i cosiddetti matti potessero prendere parte attiva. Giornali murali, disegni, lettere, libri, drammatizzazioni, canzoni, persino le visite porta a porta, rovesciavano la consuetudine della relazione tra sani e malati, tra produzione e fruizione artistica e – suggeriva Umberto Eco – “è chiaro che il messaggio finale di Marco Cavallo è che i matti siamo noi”.
L’attualità di quel periodo e di quella vicenda in fondo è ancora questa: basta rovesciare il punto di vista comunicativo per sovvertire oggi più che mai l’ordine sociale arbitrario che ci siamo imposti e darci gli strumenti culturali per costruire percorsi umani e di dignità per il diverso, l’emarginato, il “matto”. 
Approfondimenti:
http://www.francobasaglia.it/
http://www.internazionale.it/opinione/marino-sinibaldi/2015/11/18/istituzione-inventata-franco-basaglia
http://www.fondazionebasaglia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=7&Itemid=6
http://www.corriere.it/cultura/11_agosto_30/magris-manicomio-trieste-dell-acqua_fb9c5c0c-d2e5-11e0-874f-4dd2e67056a6.shtml
Photo credits: http://www.news-forumsalutementale.it

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